Un evento decisamente interessante quello che ha visto riuniti, il 28 gennaio, dodici club del Distretto rotariano 2110 Sicilia e Malta ed esaurirsi il numero massimo concesso dalla piattaforma online per parteciparvi. Il tema: “Ebrei in Sicilia e la Giudecca di Palermo” persegue, nella dimensione della continuità, il dialogo culturale tra il nostro Distretto rotariano 2110, i rappresentanti dello stato ebraico e i soci rotariani di quelle aree geografiche. Abbiamo anche appreso che in questo stesso periodo si celebra il “Tu Bishvàt” il “capodanno degli alberi”, un rito di ringraziamento alla terra che produce frutti di cui si può godere e alla quale il popolo ebraico è legato. Sono sette le specie che simboleggiano la natura e la terra benedetta d’Israele, il grano, l’orzo, l’uva, i fichi, il melograno, le olive e i datteri. Un messaggio di vita per cui si pianta un albero che recentemente viene dedicata a chi tale dialogo alimenta. Abbiamo appreso che una pianta porterà il nome del nostro governatore e piace pensare che ci siamo anche noi tra i rami dell’albero.
Il Governatore del Distretto 2110 Alfio Di Costa e la Presidente del club Baia dei Fenici Grazia Vella, in rappresentanza di tutti i Club rotariani, hanno rivolto a tutti i convenuti il saluto. In particolare, il Governatore si è soffermato sul significato di questo giorno organizzato per la memoria ebraica, fortemente correlando il tema ai valori rotariani del servizio.
Introdotti dal socio Pasquale Hamel, prestigioso scrittore e studioso della storia, sono seguiti i contributi dei relatori Nicolò Bruno e Nicolò Bucaria, archeologo l’uno e referente Ucei per i beni culturali l’altro, che hanno spaziato dalle rilevazioni archeologiche della presenza ebraica nella Sicilia orientale a quelle della Sicilia occidentale e a Palermo in particolare.
Un racconto della storia degli Ebrei nell’area orientale della nostra isola, ricco di immagini di reperti già risalenti al III secolo d.C.: la catacomba di un Giusto trovata a Catania, un anello in bronzo a Mozia, un sigillo bronzeo ad Acireale, una iscrizione funeraria in latino, un amuleto in lamina d’oro, un mattone con iscrizioni a Taormina, necropoli diffuse che interessano orientale della Sicilia, da Comiso a Noto, Modica, Lipari, Chiaramonte Gulfi, Siracusa.
Ed altro ancora parla degli Ebrei, dal III al VI secolo, gli ipogei come la Grotta del Carciofo, le iscrizioni funerarie trovate sotto l’acqua nel porto piccolo di Siracusa, il bagno ebraico di Catania, la lapide a Naro, la menorah trovata a Marsala. La Menorah è la lucerna con la struttura a sette braccia minuziosamente descritta per forma e dimensioni nel libro dell’Esodo perché quando Dio apparì a Mosè gli comandò anche di crearla: “Farai una Menorah d’oro puro, il candelabro sarà lavorato a martello, il suo fusto e i suoi bracci, i suoi calici, i suoi bulbi e le sue corolle saranno tutti di un pezzo.” (Esodo 25,31) Simbolo della religione ebraica veniva associata al Tabernacolo.
Quel che emerge dal prosieguo è che le comunità ebraiche in Sicilia erano diffuse, riconoscibili quali aliama o giudaica (Judaica) o giudecca e quella dell’area occidentale dell’isola, sviluppatasi a Palermo rappresentava una delle più importanti potendo contare anche su più di 5000 ebrei. Godevano di autonomia politico amministrativa e giudiziaria. Parlavano il greco.
La comunità ebraica a Palermo si sviluppò parallelamente alle dominazioni, a quando gli ebrei non furono espulsi dal governo spagnolo di Ferdinando il cattolico.
Già in epoca cristiana, abitavano l’Hârat ‘al Yahûd, quartiere dei Giudei e al tempo degli arabi vissero nel quartiere della Giudecca che era suddiviso nei due rioni della Meschita e della Guzzetta. Chiamarono Meschite le loro Sinagoghe.
La sinagoga ebrea, di cui si ha traccia dal XII secolo, si trovava nella stessa area della Moschea. Lì erano le abitazioni, il mercato e
il luogo di purificazione delle donne.
Significativa è la lapide marmorea esagonale con una croce centrale, che si trova all’interno della Zisa, oggi Museo d’Arte Islamica. Fu eseguita per il sepolcro della madre del prelato di corte Grisanto, morta nel 1149. In opus sectile intorno alla croce è ripetuta un’iscrizione in tre lingue diverse, latina, greca, araba e con quattro differenti caratteri di cui l’arabo in carattere ebraico. Eccezionale testimonianza storica dell’incrocio di culture diverse, la lapide diventa il racconto umano dei popoli e riconduce alla riflessione sul rispetto nella convivenza fra tutte le religioni.
Che quella di Palermo fosse una delle comunità ebraiche più importanti della Sicilia lo si legge nella lettera di papa Gregorio Magno del VI sec. ma sono altrettanto interessanti le lettere custodite nella Geniza, il luogo della Sinagoga dove venivano conservate perché in quelle pagine era nominato Dio e quindi non si potevano distruggere. La comunità contava sulle capacità imprenditoriali che davano ricchezza e costruivano influenza. Erano falegnami, argentieri, vasai, fabbri; molti erano occupati nella lavorazione del ferro e del rame, all’incirca nello stesso luogo dove oggi è la Via Calderai e dove scorreva il fiume Kemonia che fu poi interrato. Ma erano anche medici esperti e la Sinagoga Meschita di Palermo, arricchita da piante di vite e colonnati, era circondata da camere “destinate alla carità: quella dell’ospedale in cui sono preparati dei letti per gli ammalati e per gli stranieri”.
Luoghi palermitani ci hanno raccontato la loro presenza: la porta judaica, porta dell’anima, l’arco della Meschita e il vicolo, San Nicolò da Tolentino, il palazzo Marchesi in ristrutturazione e il suo cortile gotico catalano, il cortile di casa Professa, il vestibolo del miqweh che era il bagno purificatore, il cimitero ebraico fuori da Porta Termini, il chiostro della Magione dove è la vera di pozzo o tomba, purtroppo esposta alle intemperie.
Dopo l’editto di Granada per l’espulsione degli Ebrei, emanato Ferdinando II d’Aragona, re di Sicilia dal 1488, in Sicilia rimasero molti ebrei che preservarono per secoli la loro identità di Ebrei siciliani, altri si trasferirono a Istanbul, Salonicco e Patrasso.
Quel che rimane è prezioso perché subito dopo l’espulsione, a Palermo venne realizzata una “cruci di strate“, un incrocio di due strade molto larghe, tra la Discesa dei Giudici e la via Lattarini e per realizzarlo furono distrutte intere aree ebraiche.
Nel 2017, quindi cinquecento anni dopo il decreto di espulsione dalla Sicilia,l’arcivescovo Corrado Lorefice ha voluto testimoniare la pace tra i popoli, restituendo l’oratorio di Santa Maria del Sabato, in via Meschita quale luogo di culto restituito alla presenza ebraica perché avvenivano le celebrazioni ebraiche.
Il significato dell’incontro, ricco di tali qualificate relazioni e testimonianze, ha sottolineato quanto sia fondamentale ricordare il valore di ogni comunità, quella ebraica in particolare, e quanto sia importante capire che alcuna civiltà può essere dimenticata né annullata da alcun genocidio.
Ogni violenza in tale direzione, e la shoah lo è stata, è una violenza esercitata contro la storia ed i suoi insegnamenti.
Il Distretto rotariano 2110 lo ha ricordato augurandosi che alcun genocidio possa ripetersi.